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domingo, 27 de noviembre de 2011

ANPI SPAGNA AL CONVEGNO ORGANIZZATO DA ALTRA ITALIA A BCN


«Nella vita talvolta è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza» Sandro Pertini, Un partigiano come presidente
Buon pomeriggio a tutti,
le tematiche trattate e lo spirito che pervade i lavori di questo convegno,  sono senz’altro condivisi dall' ANPI SPAGNA,  “XII Brigada Internacional Garibaldi”, alla sua prima uscita pubblica come neonata sezione spagnola  dell’ Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
L’ANPI fu costituita il 6 giugno 1944 a Roma dal CLN del Centro Italia mentre nel Nord della nostra Penisola era ancora in corso la guerra di Liberazione.   L’associazione riuniva inizialmente uomini e donne  partigiani nella Resistenza contro l’occupazione nazifascista.  Suo scopo principale  era quello di restituire al Paese una piena libertà, favorendo un regime di democrazia  volto a  impedire  il ritorno di qualsiasi forma di tirannia e assolutismo.  Successivamente, con la riconquista delle libertà democratiche e con l’avvento della Repubblica, l’impegno dell’ANPI è proseguito, con identica determinazione morale, in difesa della Costituzione e delle istituzioni democratiche. Nella lotta alle nuove (molte) forme di fascismo,  l’ANPI ha trasposto, perpetuandoli, i valori e gli ideali che mossero  il nostro Paese alla Resistenza  e alla Liberazione dal nazifascismo. Il ruolo dell’'ANPI va quindi ben oltre quello, sia pur imprescindibile, di conservazione della memoria storica della nostra Resistenza. A riprova di ciò, il fatto che gli iscritti (oltre  100 mila, con un’adesione importante anche da parte dei più giovani)  sono in costante aumento, nonostante la scomparsa degli ultimi partigiani combattenti. 
I partigiani non muoiono” sottolineava Raimondo Ricci, presidente nazionale dell’Associazione, durante l’ultimo congresso nazionale svoltosi quest’anno a Torino. In tal senso va intesa la decisione di modificare lo statuto dell'ANPI circa un quinquennio fa, permettendo l'iscrizione (in qualità, appunto di "antifascisti") a tutti coloro che intendono impegnarsi per conservare, tutelare e diffondere i valori dell’antifascismo. 
ANPI Spagna, con sede a Madrid ma con iscritti in tutta la penisola Iberica, incluso il Portogallo, è nata ed opera proprio con questo spirito. Sensibile, alle istanze e alle rivendicazioni degli Indignados, ANPI Spagna è orgogliosa del fatto che i valori da essa  tramandati e difesi  siano alla base del movimento iniziato nella Puerta del Sol. Tra gli ispiratori c’è  infatti Stéphane Hessel,  un ex partigiano membro della Resistenza francese. Sopravvissuto alla deportazione al campo di concentramento di  Buchenwald e membro della commissione redattrice della dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo,  questo veterano di 94 anni con il suo libro- appello  “Indignez-vous”( che ha ispirato poi il nome del movimento), ha esortato le nuove generazioni ad indignarsi perché “il motore della Resistenza era l’indignazione”, e perché’ “l’indifferenza è il peggiore di tutti gli atteggiamenti”.  Alla luce delle vicende politiche che stiamo vivendo e sulle quali l’Associazione esprime la sua nota di preoccupazione, la  riflessione di Antonio Gramsci sul tema dell’indifferenza appare più che mai lucida e attuale: “Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.
Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.”
 L’ANPI ha seguito  con viva partecipazione le tante vicende che hanno segnato la storia del nostro Paese, contrastando tutti gli attacchi alla Costituzione e alle Istituzioni democratiche e opponendosi a tutti i  tentativi, più o meno mascherati, di revisionismo storico di questi ultimi anni.  Per esempio la battaglia contro il progetto di legge 1360/2008, fortunatamente bloccato, con cui il dimissionario Governo intendeva equiparare i repubblichini di Salò ai partigiani,  istituendo una medesima onorificenza per entrambi.  Sempre in difesa della memoria, l’impegno dell'ANPI si è poi profuso contro la proposta di legge Fontana (n.3442/2010), il provvedimento che di fatto  prevede il riconoscimento della personalità giuridica anche per le associazioni dei combattenti di Salò. La dura  opposizione dell’ANPI contro la legge Fontana ha avuto il sostegno, tra l’altro,  di molti Comuni italiani. Nell'agosto 2011 si è poi conclusa con esito positivo la  battaglia per ripristinare le festività civili del 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno, minacciate di essere cancellate dalle manovre finanziarie.  Ricordiamo infine il sostegno dato alle vittoriose campagne referendarie. 
Convinti che il futuro appartenga alla non violenza perché,  come  diceva  Sartre, il ricorso alla violenza  contro la violenza è l’unico mezzo sicuro per perpetuarla, concludiamo il nostro intervento con una citazione di uno dei nostri migliori presidenti della Repubblica, partigiano, Sandro Pertini (alla cui memoria ANPI Spagna dedicherà una targa, nella Piazza Sandro Pertini di Madrid, in collaborazione con il vicinato) «Giovani, armate il vostro animo di una fede vigorosa: sceglietela voi liberamente purché la vostra scelta presupponga il principio di libertà, se non lo presuppone voi dovete respingerla, altrimenti vi mettereste su una strada senza ritorno, una strada al cui termine sarebbe la vostra morale servitù: sareste dei servitori in ginocchio, mentre io vi esorto a essere sempre degli uomini in piedi».
Per sostenere l’Associazione in questi giorni è in corso la campagna di tesseramento 2012. I recapiti sono:

                  anpispagna@gmail.com

                  su Facebook: ANPI SPAGNA


Grazie a tutti

Cristina Visentin
ANPI SPAGNA

martes, 8 de noviembre de 2011

¡¡¡ HASTA SIEMPRE ONORINA !!!



DA www.enciclopediadelledonne.it

Luigi Cesareo

Onorina Brambilla Pesce

Milano 1923 - 2011


«Avevamo tutti un nome di battaglia, io mi ero scelto Sandra; ho fatto una ricerca: mentre gli uomini partigiani si sceglievano nomi fantasiosi, Tarzan, Saetta, Lupo, la maggior parte delle ragazze avevano nomi normali...Elsa... ecco, il massimo era Katia!»[1] 
Di famiglia antifascista e comunista, abita con i genitori e la sorella Wanda in una casa di ringhiera ai Tre Furcei, quartiere operaio di Lambrate a Milano. Il padre Romeo, “specializzato” alla Bianchi, fabbrica di biciclette, rifiuta di prendere la tessera del partito fascista; ne conseguono anni di disoccupazione e miseria.
Con la guerra di aggressione all'Abissinia, nel 1935, viene però a mancare la mano d'opera ed è assunto alla Breda. La madre Maria (il suo nome di battaglia negli anni della Resistenza sarà Tatiana) insegna alle figlie Onorina e alla più piccola Wanda a dubitare della propaganda del regime; è operaia, prima alla Agretta, nota per le bibite, e poi alla Safar che produce radio: «Aveva una voce così bella che veniva chiamata a cantare per testare certi microfoni». Desidera per la figlia l'istruzione che la allontani dal duro lavoro della fabbrica.
Onorina frequenta per tre anni una scuola professionale; le piacerebbe continuare a studiare ma i genitori possono solo iscriverla a un corso trimestrale di stenodattilografia dopo il quale, a 14 anni, deve cercare un lavoro.
Viene assunta dalla Paronitti come impiegata: «Non arrivavo neanche alla scrivania e i colleghi mi chiamavano Topolino, dovevano mettermi dei cuscini sulla sedia per alzarmi».
Dal 10 giugno 1940 l'Italia è in guerra.
Onorina rimane in quella ditta 4 anni, ma viene licenziata nel 1941 a causa di un diverbio con il padrone. Trova presto un nuovo impiego in una ditta che produce binari, è incaricata di compilare un inventario, frequenta i capannoni annotando tutto, conosce gli operai, impara a individuare chi è antifascista e chi no. Comincia a studiare l'inglese al Circolo Filologico di Via Clerici: in quella biblioteca circolano ancora, incredibilmente, molti libri vietati dal regime, preziosi per la sua formazione.
La fame si fa sempre più sentire, la gente non ne può più, la guerra toglie il velo a tutte le menzogne della propaganda di regime. La caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 coglie la gente di sorpresa, festa e disorientamento sono tutt’uno, i carri armati vengono usati per disperdere la folla. Nell'Agosto 1943 Milano viene bombardata.
La città è in fiamme, colpiti il Duomo, Palazzo Reale, il Castello Sforzesco, la Scala, Sant'Ambrogio, la Pinacoteca di Brera; a Santa Maria delle Grazie il Cenacolo di Leonardo è salvo per puro caso.
Nel rifugio affollato, una sera Onorina non riesce a trattenere la gran rabbia e, salita su un tavolo, senza curarsi dei molti fascisti presenti, grida«È ora di finirla con questa guerra!» È contenta, ha tenuto il suo primo comizio antifascista.
«Secondo me sono state le donne a dare inizio alla Resistenza... la loro partecipazione fu dovuta a motivazioni personali; a differenza di molti uomini che scelsero di andare in montagna per sottrarsi all'arruolamento nell'esercito di Salò, nessun obbligo le costringeva ad una scelta di parte; fu anche l'occasione per affermare quei diritti che non avevamo mai avuto, mai come in quei mesi ci siamo sentite pari all'uomo...»
Dopo l'Armistizio dell'8 Settembre 1943 (in effetti una resa senza condizioni), i tedeschi occupano Milano, è finita una guerra ma ne sta iniziando un'altra. I soldati dell'esercito Italiano abbandonano le divise, molti diventano partigiani; i Gruppi di Difesa della Donna (che arrivano a mobilitare, fino all’aprile ’45, almeno 24.ooo donne) si occupano di procurare loro denaro, cibo, vestiti; il compito di Onorina è distribuire la stampa clandestina. Desidera raggiungere in montagna una Brigata Garibaldi, ma la sua amica Vera (nome di battaglia di Francesca Ciceri, comunista) le presenta Visone (Giovanni Pesce) che sarà il suo Comandante e futuro marito. Lui la convince a combattere nella propria città, e Onorina a marzo 1944 lascia il lavoro. “Sandra” diventa Ufficiale di collegamento del III° ー Gap “Egisto Rubini”, equivalente al grado di sottotenente dell'Esercito Italiano, decisamente più che una staffetta. Con la sua bicicletta Bianchi color azzurro cielo[2] trasporta armi, munizioni ed esplosivo, passa spesso, con il cuore in gola, in mezzo ai rastrellamenti nazifascisti. Sono le staffette a portare le armi e a prenderle in consegna dopo un'azione per evitare che i gappisti vengano sorpresi armati e fucilati sul posto.
«C'erano le rappresaglie ma, cosa avremmo dovuto fare? Smettere la lotta? In ogni caso i nazifascisti non avrebbero cessato di fare quello che facevano. Non ho mai provato pena per chi colpivamo. La guerra non l'avevamo voluta noi. Loro ogni giorno fucilavano, deportavano, torturavano. Si dovevano vincere due cose, la pietà e la paura.»
Il 24 giugno 1944 nella “battaglia dei binari” alla stazione di Greco, un bersaglio di straordinaria importanza, Sandra è il collegamento tra i ferrovieri e i gappisti e con la compagna Narva porta i 14 ordigni che, piazzati nei forni di combustione delle locomotive scoppiano simultaneamente; l'azione dei Gap viene citata da Radio Londra.
Il 12 Settembre 1944, a 21 anni, tradita da un partigiano passato al nemico (“Arconati”, Giovanni Jannelli) viene catturata dalle SS nei pressi del Cinema Argentina, nel cuore di Milano. Inizia la prigionia, la sofferenza, il distacco dalla famiglia, la tortura e la violenza fisica subita dalle SS nella Casa del Balilla di Monza, trasformata in carcere.
In attesa dell'interrogatorio cerca di farsi coraggio. Ai gappisti arrestati il Comando chiede di resistere 24 o 48 ore per permettere ai compagni di mettersi in salvo. L'interrogatorio è terribile, vogliono che lei consegni Visone, ore e ore di percosse, torture. Non parla, nessuno dei suoi compagni è compromesso.
Rimane in isolamento totale nel carcere di Monza due mesi, giornate lunghe e vuote, non può comunicare con l'esterno o ricevere notizie. È trasferita a San Vittore per soli due giorni e, l'11 novembre 1944, caricata, con altri prigionieri, su un pullman senza conoscere la destinazione.
Viene imprigionata a Bolzano in un campo di transito. Ancora oggi non si spiega perché le 500 prigioniere politiche che lì si trovavano non furono mai deportate in Germania, diversamente dalle altre 2700 donne che dall’Italia raggiungeranno i campi di concentramento. Mantiene contatti epistolari con la madre, la rassicura sul suo stato fisico e psicologico, riesce persino a scherzare: «se non fosse perché abbiamo sempre fame sembrerebbe una villeggiatura...» Lavora dapprima alla sartoria del campo, in un ambiente stretto e soffocante ma poi riesce a farsi assegnare ai lavori esterni. I tedeschi, prima di fuggire, le rilasciano persino un documento che attesta la prigionia e grazie al quale riuscirà in seguito a dimostrare la sua deportazione.
Milano era stata liberata dei Partigiani e dall'insurrezione popolare il 25 aprile. Onorina decide di non attendere l'arrivo degli americani; con alcuni compagni, sotto la neve, si inerpica sul passo della Mendola, attraversa la Val di Non e il Tonale; si fermano la notte presso i contadini ai quali chiedono cibo e riparo, sono d'aiuto i posti di ristoro dei partigiani delle Fiamme Verdi. Finalmente un pullman fornito dai comuni della zona fino a Ponte di Legno, li porta da lì a Lovere; poi in treno fino a Milano, Stazione Centrale: era il 7 maggio 1945. Con un'assurda “normalità” arriva a Lambrate, a casa, con il tram n. 7. Dalla finestra, vicina a Wanda, guarda emozionata la manifestazione dei Partigiani, rivede Visone, corre in strada, si abbracciano. Nori (come la chiamerà il marito) e Giovanni Pesce, finalmente liberi, si sposano il 14 luglio 1945, non possiedono niente, solo gioia per la ritrovata libertà e speranza per una nuova vita.
Si trasferiscono per un breve periodo a Roma, dopo l'attentato del 1948 a Togliatti, Giovanni guida la Commissione di Vigilanza, a protezione dei maggiori dirigenti del Pci. Nori trova impiego nella segreteria di Pietro Secchia, commissario politico delle Divisioni Garibaldi.
Tornata a Milano lavora alla Federazione del Pci e nella Commissione Femminile della Camera del Lavoro. Successivamente entra a far parte del Comitato Centrale Fiom metalmeccanici, dirige i lavori sindacali, organizza convegni, incontri e scioperi in difesa del posto di lavoro.
Nel 1951 Giovanni Pesce lascia il partito e trova lavoro come rappresentante di caffè; riescono a comprare casa, nasce la figlia Tiziana, non ne avranno altri, «un po' per le ristrettezze economiche e un po' perché eravamo talmente impegnati a fare i rivoluzionari di professione da non avere il tempo utile per essere genitori. Una sera Tiziana ancora bambina mi disse a bruciapelo: io ti ho conosciuto a 8 anni, mamma!»
Nel tempo il commercio di Giovanni si sviluppa e Onorina, per seguirne la parte amministrativa, lascia la sua attività politico-sindacale ma continua ad essere, per 8 anni segretaria nella sezione Pci di Via Don Bosco. Il 27 gennaio 1962 le viene assegnata la Croce di guerra per la sua attività di partigiana.
Nel 1969 Nori e Giovanni aprono un locale di liquori e vini, il Bistrot in Via Zecca Vecchia, dura solo due anni ma è una parentesi felice. Lì si ritrovano scrittori, pittori, studenti, operai. La sera, chiuso il locale, vanno in sezione a fare attività per il Pci e per il Sindacato.
Nori Brambilla Pesce è stata Responsabile della Commissione femminile dell'ANPI, Presidente dell'Associazione ex perseguitati politici italiani antifascisti per la sede di Milano e Presidente onorario A.I.C.V.A.S., l'Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna.
«Si vuole falsificare la Resistenza, lo chiamano revisionismo ma spesso è falsificazione della storia. Noi siamo stati impegnati per tutta la vita per difendere la libertà, oggi ho 87 anni, non ho rimorsi, ho un rimpianto ma non voglio parlarne. Quando cala il sole chiudo le persiane perché non amo il buio della notte...»
Onorina ci ha lasciato il 6 Novembre 2011.

NOTE

1. Le citazioni sono tratte da Onorina Brambilla Pesce, Il pane bianco, conversazione con Roberto Farina prefazione Franco Giannantoni, Varese, Edizioni Arterigere, 2010 o da interviste video presenti in rete.
2. Vedi la scheda del libro La bicicletta nella resistenza di Franco Giannantoni e Ibio Paolucci.
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Fonti, risorse bibliografiche, siti
Onorina Brambilla Pesce, Il pane bianco, Varese, Edizioni Arterigere, 2010
Giovanni Pesce, Senza tregua, Milano, Feltrinelli 1967
Marco Pozzi, Senza tregua, Film-documentario, 2003
Su YouTube:

Luigi Cesareo

Luigi Cesareo (1953) scrive raramente. Si interessa di Spagna e del mondo che ruota intorno alla Corrida e alla tauromachia, dal quale è rimasto folgorato una mattina di luglio, a Ronda. Ha scritto alcuni racconti su questi temi. Altri incontri decisivi: Totò, Achille Campanile, Eduardo, Van Morrison. Suona il basso elettrico e ha due bambini.
Leggi tutte le voci scritte da Luigi Cesareo

jueves, 13 de octubre de 2011

”Il cambiamento è vicino, ma è fondamentale non dividersi. Occorre slancio nel futuro e un pizzico d'utopia”

NOTAZIONI DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI CARLO SMURAGLIA: Questa volta rinuncio alle solite e rapide riflessioni per mettere in comune un’esperienza fatta sabato 8 ottobre all’Arco della Pace a Milano, con la partecipazione alla grande manifestazione “Ricucire l’Italia”, promossa da Libertà e Giustizia, alla quale l’ANPI Nazionale aveva da subito aderito. Ancora una volta, quando dal palco è stato annunciato l’intervento del Presidente Nazionale dell’ANPI, è scattato dal pubblico (numerosissimo, si è parlato di 20-25.000 persone) un applauso lunghissimo, caldo, direi quasi affettuoso, per la nostra Associazione. E’ stata una cosa commovente questo riconoscimento ai valori di cui l’ANPI è portatrice, soprattutto in questo momento così difficile per il nostro Paese. E’ stata poi l’occasione per dire alcune cose sul momento presente, sulla politica, sulle prospettive, sull’unità che bisogna raggiungere per liberarci da un gruppo di potere ormai intollerabile, cominciando fin d’ora a rinnovare e ricostruire il nostro Paese. Da ciò la decisione di pubblicare, qui di seguito, il discorso che ho pronunciato dal palco: “Avrei partecipato in ogni caso, a titolo personale, a questa manifestazione così importante, perché si parla di valori e di prospettive di ricostruzioni, ma ho ritenuto giusto esserci anche come Presidente Nazionale dell’ANPI per portare il saluto e la voce di tutta la nostra Associazione. E’ nel dna dell’ANPI non solo conservare, difendere e tenere viva la memoria, ma anche sostenere e diffondere i valori che sono scritti nella Costituzione e vengono dalla Resistenza. Valori che si contrappongono nettamente a quei cosiddetti “valori” che la maggioranza di governo, alcune televisioni (e non solo quelle private), alcuni strumenti di organizzazione del consenso, hanno cercato di gabellare – da anni - per gli unici per i quali varrebbe davvero la pena di vivere. Avevamo sognato un Paese democratico, nel senso del governo di molti e della ricerca diffusa del bene comune; avevamo sognato lavoro, dignità, morale, uguaglianza, solidarietà, fraternità. Ed è questo il cemento che ci ha unito nella Resistenza e dopo, negli anni difficili che ha attraversato e sta attraversando questo Paese. Ha detto il Presidente emerito Ciampi: “Non è questo il Paese che sognavo”; ed è assolutamente vero, non solo per gli scandali, ma per la corruzione, per il disprezzo delle regole, per l’obbedienza cieca alle ragioni del mercato, alla logica del potere, dell’affermazione personale, della visibilità. Da anni ci troviamo in questa situazione, ma ora essa è diventata intollerabile, perché coloro che l’hanno creata, hanno dovuto gettare la maschera e si sono presentati per quello che sono: un volgare gruppo di potere che non mira al bene comune, ma solo al bene di sé stesso, incurante di ogni richiamo, proveniente ormai da tante parti, incurante della stessa credibilità, della dignità che devono avere gli organi di governo e quelli parlamentari, della fiducia che va scomparendo sempre di più, in una frattura che sembra insanabile e che è ormai col mondo intero. Il Presidente Ciampi ci ha detto che quella amara constatazione non basta; occorre reagire con forza all’indifferenza, all’assuefazione, alla rassegnazione. Noi ci stiamo battendo per questo; ed è questa la ragione per la quale l’ANPI aderisce e partecipa a questa manifestazione. E sono qui per rappresentarla, ma anche per esprimere una mia convinzione che non è solo personale, ma – andando in giro in tanti luoghi di questo Paese - vedo largamente condivisa: non possiamo aspettare un 25 luglio che forse non ci sarà, non possiamo sperare che qualcuno o qualcosa muti l’esistente, magari in maniera gattopardesca perché non è davvero possibile che questo Governo, che si regge sul potere, sul denaro, sul trasformismo, su tante basi che non hanno nulla a che fare con ciò che indica l’art. 54 della Costituzione, possa cadere da solo, consentendo che il Paese trovi la via del riscatto e del cambiamento. Ci sono tanti segni positivi – lo abbiamo più volte rilevato – di questa volontà dei cittadini di farsi sentire e di prendere in mano il proprio destino e quello del Paese. Ma non è più tempo di manifestazioni isolate o di pur legittime proteste. Siamo in una situazione terribile, dalla quale bisogna uscire al più presto, non solo cambiando il governo, ma anche creando le condizioni perché i cittadini si trovino di fronte a istituzioni (a cominciare da quelle parlamentari) che li rappresentano davvero; ma occorre trovare un collante tra tutte le persone, uomini e donne, che amano e vogliono la democrazia. Un collante che ci unisca tutti in una volontà comune, con la sola esclusione, perentoria, di ogni forma di violenza. Un collante tra i mille segnali di insoddisfazione, di rabbia, di indignazione, tra le molte manifestazioni di una volontà nuova. Ai partiti di opposizione dobbiamo chiedere uno sforzo di responsabilità, che sostituisca liti e contrasti con una vera unità reale, almeno su alcuni punti fondamentali e alla nuda protesta ed al pur giusto invito al Governo ad andarsene sostituisca la costruzione di un’alternativa reale e credibile, su basi solide e profonde. Noi siamo fermamente contrari all’antipolitica perché riteniamo che la politica sia il necessario tessuto connettivo della democrazia; ma pretendiamo che si tratti di buona politica, ispirata a un profondo senso morale e che i partiti considerino prioritari il rapporto con i cittadini e con la realtà e il perseguimento del bene comune. Molti dicono di voler resistere; ma questo non ci basta più, perché è necessario andare oltre e guardare avanti, pur ispirandoci a valori e princìpi che vengono da lontano. Molti dicono che occorre indignarsi; ma noi diciamo che siamo indignati da molto tempo e questo non è bastato a determinare la svolta. Ed allora occorre che l’indignazione sia ancora più diffusa ed estesa e soprattutto sia costruttiva. Vogliamo guardare più lontano, scrutando il dopo, ma in fretta, perché i cittadini non possono più aspettare, ma soprattutto non possono più aspettare i lavoratori senza lavoro o con lavoro precario, non possono aspettare le famiglie che non riescono ad andare avanti, in un Paese in cui crescono continuamente le nuove povertà; soprattutto non possono più aspettare i giovani, che hanno bisogno di certezze e opportunità ed ai quali bisogna smettere di promettere un futuro migliore, adoperandosi invece e subito per garantire un presente libero e dignitoso. Insomma, bisogna agire e ricostruire, sapendo perfettamente che se riusciremo a salvare il Paese dal disastro incombente, se riusciremo a togliere di mezzo disuguaglianze e privilegi, se riusciremo a mandare a casa chi ha fatto di tutto per distruggere il Paese, questo non basterà ancora, perché si possono cambiare le leggi sbagliate, si possono correggere politiche disastrose ed ingiuste, ma non torneremo al Paese che abbiamo sognato nella Resistenza e nella costruzione di una Carta Costituzionale splendida, se non riusciremo a ricostruire un patrimonio morale, fatto di dignità, di fierezza, di sensibilità democratica, di uguaglianza, se non restituiremo il posto che gli spetta al lavoro come reale valore e fondamento della Repubblica, se non avremo la forza di consegnare ai giovani un patrimonio di speranze, di attese, di prospettive, di dignità che oggi sembra smarrito. Un lungo filo da tessere, dunque; ma ormai siamo in tanti, dobbiamo crescere, collegarci, trovare nuove coesioni; ed allora ciò che pareva impossibile diventerà reale, ciò che sembrava utopico diventerà finalmente realtà. Tutto questo non è lontanissimo, anzi è a portata di mano. Occorre fiducia nella forza e nella volontà di un popolo che non ne può più di scandali, soprusi, arroganza e disuguaglianza; occorre credere, con la forza non solo della volontà ma anche della ragione, che è ora di cambiare e possiamo, dobbiamo farcela. Voglio ricordare, proprio per collegare un passato glorioso al presente, che quando i partigiani riuscirono a liberare alcune zone dai tedeschi e dai fascisti e crearono le “repubbliche partigiane”, dell’Ossola, della Carnia e tante altre, pur sapendo che i tedeschi potevano tornare, come infatti avvenne, vollero andare al di là del contingente e mettere in campo riforme, della scuola, della giustizia, perfino del sistema fiscale. Durò pochi giorni, talora poche settimane, ma fu un laboratorio di democrazia in una situazione ancora estremamente pericolosa, fu la dimostrazione che non si voleva solo combattere e cacciare il nemico, ma anche ricostruire un’Italia nuova, civile e democratica. Qualcuno ha detto che, in quelle condizioni, si trattava di un ottimismo della volontà, che rasentava, in qualche modo, l’utopia. Ma quante volte, anche nel nostro Paese, dall’utopia si è passati alla realtà; e non è a caso che pochi dopo, giunse il 25 aprile, il radioso giorno della Liberazione. Anche noi, oggi, dunque, faremmo davvero un gran bene al Paese se anche solo per un momento, al sogno di vedere scomparire questo volgare gruppo di potere, riuscissimo ad aggiungere, con un pizzico di utopia, la convinzione che quel sogno sta per realizzarsi, ma dipende da noi, dalla nostra volontà, dalla nostra unione, trasformarlo in soluzioni concrete. Insomma, dobbiamo crederci con tutte le nostre forze ed impegnarci fino allo spasimo per realizzarlo, questo Paese nuovo e diverso, questa coscienza civile finalmente matura e responsabile, capace di determinare il vero destino di un Paese che, pur nei suoi limiti e difetti, non sembra meritare questo sfascio e questa disgregazione ed ha solo bisogno di essere aiutato a ritrovare, nell’unità, nella solidarietà, e nell’uguaglianza, quel senso diffuso di cittadinanza e, mi sia consentito, di fratellanza e di giustizia sociale, che ha saputo cogliere nei momenti fondamentali della sua storia”.

domingo, 25 de septiembre de 2011

IL DOCUMENTO DELL'ANPI SPAGNA

La costituzione della sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia in Spagna è dettata  dalle necessità di
·      mantenere, difendere e valorizzare la memoria storica della Resistenza in Italia oltre che quella delle Brigate Internazionali che combatterono con il contributo di tanti antifascisti italiani per la Repubblica spagnola. Quelle pagine gloriose e tragiche ispirarono la Resistenza italiana e quella europea.
·      esaltare la battaglia antifascista dei repubblicani spagnoli in patria ed in Europa con particolare riferimento ai combattenti  della “Nueve” che parteciparono alla liberazione di Parigi nel 1944.
·      celebrare la guerra di liberazione;
·      difendere la democrazia e la Costituzione italiana.

Crediamo che il livello di corruzione dei politici ci allontani definitivamente dagli standard occidentali. Gli ultimi dati (Agosto 2011) confermano in 88 i parlamentari fra indagati e condannati. Il partito che governa il paese annovera fra le sue fila gran parte di questi.
Molti dei deputati rappresentano sempre più una casta arroccata per difendere i privilegi ottenuti. L’ultima manovra finanziaria per coprire il deficit di bilancio non vede nessun provvedimento che tagli i costi della politica  e  dei politici, solo lacrime e sangue per i cittadini.

I fascisti vestono il doppiopetto e approfittando del partito/gruppo d’interesse che governa il paese propongono revisioni costituzionali e leggi che sdoganino definitivamente il pensiero fascista. La proposta di legge, che vuole riconoscere ugual valore alle associazioni partigiane e a quelle fasciste, è solo una delle tante iniziative, soprattutto a livello locale, mirate a valorizzare il periodo più buio della storia italiana. Ultimo, in ordine cronologico, il permesso ad un’associazione neo-nazista di aprire una sede a Roma. La proposta di accorpare il 25 aprile, il 1º maggio e il 2 giugno alla domenica successiva avrebbe privato le principali celebrazioni della storia d’Italia, del loro valore simbolico e unificante.

La Carta Costituzionale viene ritenuta obsoleta  e si richiede la sua revisione in molti articoli, recente la richiesta che vuole abolire l’articolo 41 che impone la funzione sociale dell’impresa privata. A tutt’oggi la Costituzione rimane inapplicata nei suoi più alti obiettivi come gli articoli che fanno riferimento alla dignità dei ruoli istituzionali, al diritto al lavoro, ad una vita degna e al rifiuto della guerra.

La vita degna alla quale fa riferimento la Costituzione mai è stata tanto minacciata come ora. Il lavoro sicuro è ormai un bene di lusso, i giovani fortunati che hanno un impiego vivono ricattati dai contratti a termine. L’Italia è leader in Europa per disoccupazione giovanile. La soglia di povertà tocca il 15% dei cittadini italiani. Si richiede l’allungamento dell’età pensionabile. In questo mondo globalizzato governato  dall’economia, gli organismi trans-nazionali decidono la qualità della vita dei cittadini. I governi spesso sono solo meri esecutori dei provvedimenti  decisi altrove.
La sinistra principale ma non unico referente delle istanze fin qui elencate è divisa e per questo poco incisiva.

Fondiamo la sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia sezione Spagna perchè

RIVENDICHIAMO

·      La memoria storica dei Partigiani e della Guerra di Liberazione
·      L’applicazione della Costituzione Italiana
·      L’antifascismo come discrimine irrinunciabile nella politica italiana
·      A livello della Unione Europea va affermato il primato della politica sulla logica economica affinché la cittadinanza e i loro diritti siano lo scopo delle politiche europee comunitarie
·      Investimenti sul lavoro che permettano alle nuove generazioni di conquistare  un futuro degno
·      L’unione di tutte le forze che credono nei valori della Resistenza e della Costituzione
·      La rifondazione morale della politica italiana

ATTUEREMO:

·      In Spagna, facendo rete con le associazioni di memoria storica, valorizzando la lotta degli italiani nelle Brigate Internazionali a difesa della repubblica spagnola.
·      Nelle istituzioni italiane in Spagna per difendere i valori della Resistenza e della Costituzione.
·      Nelle piazze, organizzando le iniziative dell’Anpi Nazionale.
·      In rete, valorizzando la Guerra di Liberazione  e la Costituzione Italiana



jueves, 21 de julio de 2011

La Resistenza romana

Via Rasella
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23 marzo 1944 - Alle 15,30 Carlo Borsani, cieco di guerra, medaglia d'oro, celebra, nel salone di un palazzo in via Veneto, la nascita del fascismo, avvenuta 25 anni prima a Milano, in piazza San Sepolcro. E' una giornata senza nuvole, con il sole splendente. In mattinata i gerarchi e le autorità germaniche avevano assistito alla messa nella chiesa di Santa Maria della Pietà e deposto corone alle lapidi dei caduti fascisti in Campidoglio e al Verano. Borsani ha comniciato da poco a parlare quando, alle 15.52, si interrompe a causa del forte boato che rompe l'aria. Una forte carica di tritolo è esplosa a poca distanza, in via Rasella, davanti al palazzo Tittoni, mentre vi transitava a piedi una compagnia del I battaglione del Reggimento Polizei SS Bozen, composta da 156 uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa, in assetto di guerra, con mitragliatrici montate su carrelli in testa e in coda alla colonna. Subito dopo, due squadre dei GAP Centrali, una di sette uomini l'altra di sei, al comando di Carlo Salinari (Spartaco) e Franco Calamandrei (Cola), lanciano a mano bombe da mortaio leggero Brixia, modificate per esplodere per accensione della miccia, e sparano con armi leggere. A far brillare la mina collocata in un carrettino metallico da spazzino era stato lo studente in medicina Rosario Bentivegna, con la copertura di un'altra giovane studentessa, Carla Capponi.
Secondo la testimonianza di Bentivegna, i gappisti erano disposti per l'attacco in questo modo: lui vicino al carretto, Carla Capponi, con un impermeabile sul braccio, da mettergli addosso per coprirgli la divisa da spazzino, la pistola alla cintura sotto il golf, in cima alla via con alle spalle palazzo Barberini; Raul Falcioni, Fernando Vitagliano, Pasquale Balsamo, Francesco Curreli e Guglielmo Blasi, con Salinari nei pressi del Traforo; poco distante Silvio Serra; all' angolo di via del Boccaccio, Franco Calamandrei. Altri gappisti erano sistemati per coprirli durante lo sganciamento.
Le modalità dell'attacco: Calamandrei si era tolto il cappello, segno convenuto per avvisare Bentivegna che i tedeschi si stavano approssimando e doveva quindi accendere la miccia per poi allontanarsi rapidamente. Avvenuta l' esplosione, gli altri gappisti raggiunsero Calamandrei di corsa per sviluppare l'assalto a bombe a mano e colpi di pistola. L'azione si concluse con 32 SS uccise e 110 ferite (una sarebbe morta in ospedale il giorno dopo). I gappisti non ebbero perdite nonostante la immediata reazione dei tedeschi. Morirono invece un ragazzo e due civili. Altri persero la vita o rimasero feriti nella violenta sparatoria che si protrasse con l' arrivo di reparti tedeschi e fascisti, da questi rivolta soprattutto a colpire le finestre degli edifici più vicini, dai quali ritenevano fossero stati lanciati gli ordigni esplosivi.
L'attacco in via Rasella era stato deciso dal comando dei GAP Centrali in sostituzione dell' assalto, programmato per quel giorno, al corpo di guardia di via Tasso per liberare i prigionieri della Gestapo. Dopo un sopralluogo Fiorentini, Salinari e Calamandrei avevano ritenuto irrealizzabile quell' operazioe dato il sistema difensivo approntato dai tedeschi e avevano predisposto invece l'aggressione alla colonna tedesca che ogni giorno percorreva via Rasella ultimate le esercitazioni alla controguerriglia.
Il reggimento Bozen, come tutte le SS composto da volontari vincolati dal giuramento a Hitler, si stava infatti addestrando alla lotta contro i partigiani. Il battaglione di stanza Roma forniva anche elementi alla Gestapo in via Tasso, e avrebbe dovuto assolvere all' incarico di proteggere il personale militare e civile tedesco e fascista durante l' abbandono della capitale all' arrivo degli alleati, e, inoltre, fare da scorta ai prigionieri che da via Tasso da Regina Coeli sarebbero stati trasferiti al nord.
Al reggimento Bozen saranno addebitate le stragi di civili commesse in seguito, in Istria, nel Bellunese, a Bois e Falcade, 87 azioni di rappresaglia documentate negli archivi tedeschi di Coblenza, ricostruite da storici ricercatori altoatesini nel 1994.
L'azione di via Rasella venne riconosciuta come atto legittimo di guerra dal governo e dal parlamento dell' Italia democratica, nel 1981, dalla magistratura, nei vari gradi sino alla Cassazione (19 luglio 1953). Alcuni partecinti vennero decorati al valor militare, Presidente della Repubblica Einaudi, Capo del Governo De Gasperi
pallanimred.gif (323 byte) La sentenza della Cassazione del 1999via Rasella fu una "legittima azione di guerra"

da  http://storiaxxisecolo.it

martes, 12 de julio de 2011

GUERRA DI LIBERAZIONE NON CIVILE!



Nel centenario del Viminale gaffe sulla Resistenza

L'occupazione tedesca tra il '43 e il '45 chiamato "guerra civile"
Riprendiamo da Repubblica.it 
"Di questo Palazzo si è detto e scritto di tutto: ma il Viminale non è il palazzo dei poteri, degli intrighi e dei complotti". Così Maroni alla cerimonia dei cent'anni della sede del ministero dell'Interno celebratasi alla presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Oggi però il Viminale è stata la sede dove s'è consumato un clamoroso strafalcione storico. Il filmato istituzionale sul centenario ha chiamato "guerra civile" il periodo dell'Occupazione tedesca dell'Italia fra il '43 e il '45. Errore voluto per presentare la Resistenza in chiave revisionistica o involontaria gaffe degli autori? Non è dato sapere: questo è uno dei tanti misteri del Viminale. Così come non si sa a quale causa attribuire la clamorosa svista sempre dello stesso video, che ha omesso (o censurato) i sei anni di repressione antidemocratica di Mario Scelba, fra il 2 febbraio 1947 al 7 luglio 1953. In ogni caso, il filmato non è più disponibile sul sito del Viminale, come era stato annunciato.

L'errore storico ha suscitato sdegno e proteste nel mondo politico e dei Partigiani. "È stata un guerra di Liberazione - ha commentato dal letto dell'ospedale Armando Cossutta, ex partigiano e vicepresidente dell'Anpi - dire che è stata una guerra civile è sbagliato".
"Ancora una volta - ha aggiunto il presidente dell'Anpi - Carlo Smuraglia- s'è parlato di "guerra civile"a proposito della Resistenza che è una delle pagine più gloriose della storia italiana e non deve essere assolutamente deformata cercando di ridurne la portata di ridurla a guerra civile. È stata guerra di Liberazione per liberare l'Italia dalla dittatura fascista e dall'Occupazione tedesca. Appena 5 giorni fa sono stati dati 9 ergastoli ai nazisti autori degli eccidi negli Appennini tosco-emiliani, la prova che i nemici da combattere, che sterminavano la popolazione civile inerme, erano i tedeschi. Che poi alleati coi tedeschi ci fossero anche i fascisti che hanno voluto combattere fino alla fine con loro non muta il carattere fondamentale della guerra di Liberazione. Sorprende che dopo tanti anni di distanza, da una sede autorevole e istituzionale come il Viminale e davanti al presidente della Repubblica, esca ancora il tentativo di ridurre una pagina  meravigliosa della storia del Paese a una lotta fratricida".

"Chiamare guerra civile la lotta di liberazione che sconfisse in Italia i fascisti e i nazisti - ha commentato Emanuele Fiano, responsabile Pd del forum sicurezza - è un atto di barbarie storica che riporta indietro l'orologio della nostra cultura comune. Non ci fu nessuna guerra civile, ma la maggioranza del Paese si ribellò e ci liberò dalla nostra dittatura prima ancora che dall'Occupazione straniera. Le ricostruzioni storiche che vengono promosse dal ministero dell'Interno dovrebbero salvaguardare questa visione storica che è quella su cui si fonda la democrazia repubblicana nella quale viviamo oggi".

domingo, 26 de junio de 2011

FAI PARTE DELLA STORIA !!!

                                                                         LA SEZIONE ANPI SPAGNA NASCERÀ UFFICIALMENTE A SETTEMBRE. NEL FRATTEMPO CHI VOLESSE ISCRIVERSI PUÓ FARLO CONTATTANDO QUI O ALL'EMAIL ANPISPAGNA@GMAIL.COM. LA TESSERA VERRÀ SPEDITA GRATUITAMENTE AI NON RESIDENTI A MADRID I QUALI POTRANNO INTERVENIRE E VOTARE ALLA RIUNIONE DI FONDAZIONE VIA SKYPE

martes, 21 de junio de 2011

La Resistenza accusa ancora...

La Necessità ancora oggi di parteggiare
 
Alcune puntualizzazioni
 
 
La Resistenza Partigiana è stato un momento di forte riscossa del popolo italiano, massacrato per vent’anni da un regime reazionario, razzista ed antipopolare. Gli Italiani, mai come in quel momento, furono uniti. Dopo la resa indondizionata dell’Italia (nell’8 settembre non si può ravvedere nessun armistizio da parte del Regno d’Italia) si costituì un ampio fronte di soggettività differenti che non aveva come obiettivo solamente la lotta al fascismo, ma anche quello di porre le basi per un nuovo ordine costituzionale, fatto di diritti, doveri e libertà e che fosse il giusto accordo fra le diverse culture critiche.
 
I comunisti ebbero un peso fondamentale all’interno del Comitato di Liberazione Nazionale e non solo (ricordiamo ad esempio i Gap, costituiti su iniziativa del Partito Comunista), forti del fatto che molti partigiani si erano formati nella guerra civile spagnola ed avevano appreso i principi di quella scienza militare particolare (basti pensare alle figure di Luigi Longo e del Comandante Giovanni Pesce “Visone” o di Pajetta) e dell’azione politica continua che il Partito Comunista sezione della Terza Internazionale, benchè ridotto ad uno stato di clandestinità, aveva posto in essere per tutto il corso del ventennio (fino al 1943 quando l’organizzazione comunista assunse il nome di PCI).
 
Non solo, ma con la vittoria di Stalingrado del 2 febbraio del 1943 le speranza della classe operaia di tutta Europa aumentarono e la possibilità di battere il nemico nazi-fascista cominciava a diventare reale anche in Italia. Gli effetti si sentirono presto nel nostro Paese dove, il primo scacco al potere fascista, fu dato con gli scioperi di Roma e Torino del marzo del 1943, antesignani del declino del potere fascista e del “nuovo ordine” poi posto con la resistenza. Scioperi che sancirono l’unione tra la classe operaia ed i partigiani. Questo dato storico deve essere posto in rilievo perché sarà quello che condurrà alla fine del fascismo. Se è vero che il partito Comunista ebbe un ruolo di primaria ed incofutabile importanza nella Resistenza, è anche vero che il concetto di lotta partigiana deve essere colto nella sua unitarietà.
 
Comunisti,Socialisti, popolari, liberali, azionisti,democristiani, uomini liberi decisero di fare una scelta di parte e di ribellarsi all’oppressore fascista. La Resistenza Italiana non fu una guerra civile, come molti vorrebbero attualmente per equiparare sul piano morale e politico quanti asservirono il governo fascista ed i partigiani, quanto piuttosto una civile guerra, come ricordava il Partigiano Nunzio di Francesco nell’ultimo incontro organizzato dal Circolo Gramsci Riposto. La differenza è netta.
 
Da una parte uomini di parte, partigiani che dopo l’8 settembre del 1943 in massa (anche se non vanno ignorati gli episodi diffusi di resistenza individuale ed organizzata precedenti, come ad esempio gli Arditi del Popolo di Secondari) avevano fatto una scelta, dall’altra parte soggetti privi di dignità che continuarono a far cadere l’Italia nella vergogna piu totale. I Partigiani riscattarono la dignità perduta dell’Italia. Bisogna cercare, in fin dei conti, di non cadere nel revisionismo piu becero, oramai imperante sia a destra che nei partiti di pseudo-sinistra. I morti non sono tutti uguali, un massacratore non può essere uguale, nel giudizio storico, ad un partigiano, rimarrà nella memoria un massacratore (ad ognuno di questi criminali andrebbe dedicato il monumento che Calamandrei dedicò a Kesselring..) senza giustificazionismo alcuno.
 
Eppure le campagne di revisionismo abbondano e non solo dal punto di vista strettamente politico, quanto anche da quello squisitamente comunicativo e non sempre provengono da destra. Sarà un errore, ma nel film la vita è bella di Benigni il campo di Auschwitz viene liberato dal carro armato americano, anziché dall’Armata Rossa. Sarà un altro errore ma la fiction “Pane e Libertà”sul sindacalista comunista Giuseppe di Vittorio, piena di stupidaggini e povera di politica, mette in evidenza il ruolo primario delle forze statunitensi in Italia ed In Europa, trascurando totalmente l’organizzazione della Resistenza Partigiana e quello del’Armata Rossa (sulla questione sul sito www.circologramsciriposto.it , alla voce cultura, c’è un articolo di Giuseppe Amata sulla vicenda). L’unico campo di concentramento che liberarono gli Usa fu quello di Dachau, ma si sa come procede il falsificazionismo. Questi sono solo due esempi, ma si potrebbe continuare all’infinito.
 
Altro cinico strumento per la strumentalizzazione della Resistenza Partigiana è stato quello delle Foibe, che sono state una reazione ai crimini fascisti, perpetrati nei confronti delle popolazioni slave, più di giustizia sommaria da parte di alcuni partigiani jugoslavi, che non violenza programmata dall´alto del vertice di Tito. Le foibe, evento sicuramente tragico (come tanti durante la barbarie fascista) e di dimensioni assolutamente piu limitate di quelle descritte da alcuni fascisti , vanno inquadrate nel loro contesto storico e non strumentalizzate cinicamente per arrivare sempre a quell’equiparazione revisionista vergognosa tra partigiani e massacratori. D’altronde le parole dello stesso Mussolini non lasciano dubbi e devono essere inquadrate nella campagna di “italianizzazione fascista “:«Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani». Nel segno del revisionismo gli ex fascisti di Alleanza Nazionale hanno ottenuto che il 10 maggio fosse il giorno della memoria delle Foibe.
 
È evidente l’uso politico della storia, volto a rimuovere la memoria per plasmare meglio la realtà odierna. Altri esempi si hanno nei libri, ad iniziare da quelli vergognosi scritti dal cialtrone Giampaolo Pansa, volti a ridisegnare un nuova resistenza ed esaltare il ruolo primario da parte dell’Amministrazione Alleate delcassando, allo stesso tempo, il fenomeno resistenziale quale fatto “spontaneo” e per nulla organizzato (a dire il vero questo fu un motivo usato dagli stessi Alleati che, in un primo tempo, non vollero minimamete che i partigiani si armassero. Evidenti erano le divergenze sul futuro. Da una parte i partigiani che volevano dare un ordine all’Italia, dall’altra gli Alleati che volevano renderla uno Stato fantoccio come poi è avvenuto).
 
Gli esempi di revisionismo storico non si contano piu. Ma i piu pericolosi colpiscono direttamente il frutto della lotta partigiana, vale a dire la Costituzione della Repubblica Italiana, violata spudoratamente in ogni suo articolo. L’ultima trovata, ma solo in ordine cronologico, è stata quella di un deputato del Pdl che propone di riscrivere l’art 1 della Costituzione, ma non per a affermare la centralità del Parlamento, quale rappresenta del popolo italiano, quanto per evitare i contrappesi previsti nella nostra Carta e che sono quelli della Corte Costituzionale e del Presidente della Repubblica. Ma non c’è bisogno nemmeno di scomodare l’ultimo arrivato del Pdl per dare la prova delle ripetute violazioni che ha subito la Costituzione. Già dall’art 1 “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” (alcuni del partito comunista voleva sostituirla con “dei lavoratori”) viene violato quotidianamente. Quasi 4 morti al giorno (a cui bisogna aggiungere quelli in nero), il lavoro ridotto a merce, il lavoro che manca e quando c’è è un co.co.pro o un lavoro intermittente, comunque un lavoro precario.
 
Le politiche di deregolamentazione del lavoro, il cui punto piu alto si raggiunse con lo Statuto dei Lavoratori (legge 300 del 1970) sono iniziate con il Paccetto TREU (quindi da parte degli allora DS) e continuate vergognosamente con la Legge Biagi. Dalla metà degli anni 70 il lavoro viene colpito ed i lavoratori non hanno piu garanzie e certezze per il futuro. Ai giorni nostri si arriva a vedere un Marchionne che guadagna quanto 450 operai e priva gli stessi di ogni garanzia e diritto per delocalizzare all’estero. E meno male che all’art 41 la Cost recita che “l’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi contro l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”, o che l’art 36 recita testualmente “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.”
 
Dubito che i padri costituenti avessero in mente il progetto di società dei Marchionne quando scrissero l’art 1 della Costituzione. Viene tanto decantata la libertà (parola usata in modo assolutamente sterile e privo di significato) dai partiti di oggi e non solo dal Pdl, ma anche dal Fli e dal partito di Vendola “Sinistra e Libertà”. Ma che significato può rivestire la libertà se non la si associa all’uguaglianza? Nessuno! Ed i costituenti non a caso, nell’art 3, posero il principio dell’uguaglianza formale e di quella sostanziale. I partiti attuali, partiti di plastica e perfettamente inseriti nella involuzione culturale berlusconiana, vanno avanti per parole vuote e prive di singnificato (la discrasia con il piano del significante è evidente). I padri costitueni immaginavano, avendo visto gli orrori della guerra, un’Italia che ripudiasse la guerra (e non c’è parola piu netta di quella del “RIPUDIO”), invece sappiamo come sono andate le cose. L’Italia ripudia la pace e si impegna a parità con le altre nazioni a sviluppare il terrore nel mondo. Ecco come hanno riscritto il nuovo articolo 11 della Costituzione i signori della guerra dei La Russa, dei D’Alema & CO. Dal Kosovo all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia ed anche qua gli esempi si sprecano. I processi di destrutturazione della Costituzione sono molteplici e colpiscono la sanità sempre piu privata (da ospedali ad aziende ospedaliere), l’istruzione pubblica ridotta ai minimi termini e senza fondi(che vengono elargiti in misura abbondante alle scuole confessionali, veri e propri diplomifici che sotto il profilo culturale sono pari a zero), l’ordinamento giudiziario viene attaccato per via delle vicende giudiziarie di Berlusconi &Co, la forma di governo dello Stato Italiano, colpita dalle voluttà presidenziali del Primo ministro ed anche la forma dello Stato, impostato su base regionale ed oggetto di una deriva federalista pericolosissima.
 
La Campagna di distruzione della Costituzione è in atto da tempo e si accompagna ad un processo di falsificazione delle vicende storiche in cui la Carta deve collocarsi. I padri Costituenti erano ben consapevoli delle derive autoritarie in cui l’Italia poteva ricadere e posero un ordine di equilibrio tra i diversi poteri della Repubblica. La Resistenza Partigiana volle dare all’Italia la libertà ed i diritti, restituendole la dignità perduta. I suoi oppositori continuarono nel trasformismo, cercando anno dopo anno di affossare o confondere o deviare le ragioni dei partigiani. La Resistenza accusa ancora oggi tutti coloro che stanno facendo tornare l’Italia indietro di anni, che hanno disgregato il tessuto sociale, che cercano di sbarazzarsi velocemente della memoria per arrivare ad una sorta di condivisione del nulla.
 
Ancora oggi bisogna essere di parte. Ancora oggi bisogna parteggiare. Occorre battersi per la difesa (e l’attuazione) della Costituzione contro chi la sta demolendo. Ripartiamo dalla pratica politica contro le deriva di un sistema capitalistico putrido e sempre piu in crisi. Uomini come Nunzio di Francesco hanno fatto grande l’italia. Adesso tocca a noi non farla sprofondare nel baratro in cui sta pericolosamente scivolando.
di Andrea Pavone (Circolo Gramsci Riposto)
www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - antifascismo - 25-04-11 - n. 361
da www.circologramsciriposto.it

sábado, 18 de junio de 2011

La penetrazione delle mafie in Spagna: come combatterla

Intervento all'incontro sulla cooperazione Internazionale contro le mafie.

Permettemi di fare una piccola introduzione sull’Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia prima di affrontare l’argomento della serata.

Molti di voi si diranno “se questo è un partigiano, io sono Padre Pio”.
In effetti anche se dimostro meno anni di quelli che ho non ho fatto la Resistenza, e ovviamente non ero nemmeno nato a quei tempi.

Il fatto è che l’Anpi qualche anno fa decise di aprire le iscrizioni a tutti quelli che condividevano il suo statuto.

Ovviamente la scelta è stata presa anche per evitare l’estinzione naturale dell’Associazione.
L’apertura dell’adesione all’Anpi ha determinato uno tsunami di tessere.

Siamo ormai circa 130.000, siamo presenti in tutte le province italiane e all’estero siamo in Repubblica Ceca, Belgio, Inghilterra, Germania, Francia e ora in Spagna.

I nostri compiti fondamentali sono l’antifascismo, la difesa della Costituzione e della Democrazia.

Anche se la Resistenza è in larga parte opera dei comunisti, vorrei ricordare che hanno partecipato alla guerra di liberazione tutti i partiti di allora eccetto, ovviamente, il partito fascista; dai repubblicani ai socialisti, dai cattolici ai monarchici.

Interveniamo su molte questioni della vita política e sociale italiana. Per esempio recentemente abbiamo chiesto come molti le dimissioni di Berlusconi, ma ci tengo a dire che la nostra richiesta si basa sul fatto che la sua condotta infrange un articolo della costituzione che ci è molto caro, precisamente quello che riguarda la dignità delle Cariche Istituzionali.

Abbiamo preso posizione ed aiutato i comitati per i si ai referéndum perchè crediamo che la legge debba essere uguale per tutti e perchè il popolo italiano si era già espresso a suo tempo contro il nucleare. 

Stiamo combattendo con tutte le nostre forze contro il revisionismo storico del volemose bene che vuole equiparare i repubblichini fascisti, marionette manovrate dall’ occupante nazista, con i partigiani protagonisti della guerra di liberazione e sottolineo di liberazione, non civile.
L’ultimo assalto alla Costituzione è  la recente richiesta di un deputato del PDL di revisione della disposizione transitoria  della stessa carta costituzionale che vieta la riorganizzazione del partito fascista.

Qui, invece fra pochi giorni lanceremo ufficialmente la sezione Spagnola dell’ANPI. Abbiamo già svolto alcune iniziative insieme all’Associazione A Madrid Si Muove Un’ Altra Italia. Siamo in contatto con l’Associacion Amigos de las Brigadas Internacionales per quanto riguarda la memoria storica
Con il nome di ANPI SPAGNA potete trovarci nel nostro Blog, su Twitter e su Facebook  e fra poco avremo una sede física di riferimento.

Ma se siamo qui presenti è perchè fra i tanti temi che l’Anpi affronta c’è anche quello delle mafie.
Le cosche rappresentano una forma di tirannia perchè privano il cittadino dei suoi diritti fondamentali come quello della libertà di impresa, del diritto al lavoro e della libertà di espressione e a proposito di libertà di espressione, Elisabeth è  qui a rappresentare la Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.

Molte  delle risorse umane  sono costrette ad emigrare viste le oggettive difficoltà a vivere e prosperare nelle zone infestate dal fenomeno mafioso.
Le istituzioni tendono ad essere asservite agli interessi delle cosche ma, addirittura, come ben sapete,  succede che le cariche istituzionali  stesse appartengano alle varie mafie

Tutto ciò rende vitale l’impegno di tutte le forze democratiche affinchè se ne eviti la ramificazione  combattendola con l’arma della giustizia ma soprattutto con la cooperazione, l’informazione e l’educazione a tutti i livelli.

Il  movimento dei Fasci Siciliani nel 1891, quando i contadini si organizzarono contro i latifondisti, esplicitò chiaramente il conflitto mafia-lavoratori.
Anche se all’inizio alcuni piccoli mafiosi si schierarono dalla parte dei contadini sfruttati, successivamente la Mafia contribuí in maniera determinante alla repressione violenta della ribellione.
I contadini siciliani che venivano chiamati jurnatara perchè lavoravano dall’alba al tramonto, avevano diritto solo a un quarto del raccolto al netto delle varie tasse, chiamate diritti, come quello di messa per il prete, il diritto all’olio per la candela e il famigerato diritto di maccherone che riguardava la protezione del contadino.

Questo tributo-estorsione è infatti l’origine della parola pizzo che viene appunto  da “fari vagnari ‘u pizzu” cioè bagnarsi il becco nel piatto altrui.
È chiaro da subito quindi che la mafia si schiera contro il progresso civile e l’emancipazione dei lavoratori.

Fra i tanti che pagarono con la vita la loro battaglia a favore del movimento contadino e per l’occupazione delle terre vorrei ricordare Placido Rizzotto che fu assassinato dalla mafia  nel marzo del 1948 a Corleone.

Dopo l’8 settembre Placido si unì alle Brigate Garibaldi e dopo la liberazione tornato a Corleone divenne presidente dell’ANPI e ritenuto colpevole di organizzare i contadini attraverso la camera del lavoro e la Cgil fu ucciso dal clan di Luciano Liggio.

Oggi la cooperativa Libera Terra produce un vino con il nome del partigiano vittima di cosa nostra, le uve provengono da vigne confiscate alla mafia ed è stato anche girato un film sulla sua storia

La scelta dei partigiani fu una scelta volontaria, al contrario della leva obbligatoria.

Chi scelse coscientemente di mettere in gioco la propia vita lo fece con la stessa determinazione di chi decide di fare il giudice in zone dove il fenomeno mafioso si esprime al peggio.
I giudici che combattono le cosche incarnano gli stessi ideali e la stessa determinazione dei partigiani.

C’è un passo nell’agenda di Borsellino che rende chiara la coscienza del mettere in gioco la propia vita come fecero i volontari che parteciparono alla guerra di liberazione.

Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.”

A propósito di coscienza del rischio voglio anche citare uno dei padri della nostra Costituzione, il partigiano Piero Calamandrei in una delle sue frasi più celebri pronunciata durante un discorso al teatro lirico di Milano . Oggi potrebbe apparire un po`  retorica ma vi prego di calarvi nell’atmosfera del tempo.  
“Quando io considero questo misterioso e miracoloso moto di popolo, questo volontario accorrere di gente umile, fino a quel giorno inerme e pacifica, che in una improvvisa illuminazione sentì che era giunto il momento di darsi alla macchia, di prendere il fucile, di ritrovarsi in montagna per combattere contro il terrore….” e poi conclude:  “era giunta l'ora di resistere; era giunta l'ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini”

La Mafia in Spagna va combattuta con l’arma della cooperazione internazionale perchè questa è la dimensione sulla quale si misurano le cosche.
Ovviamente la repressione del fenomeno mafioso è fondamentale per lo sviluppo del benessere dei cittadini. Ma l’aspetto giudiziario non può essere separato dalla denuncia , dall’informazione e dall’educazione. 

Questo è il nostro compito. Qui noi abbiamo il nostro da fare.

Dobbiamo per esempio smantellare l’idea romantica del mafioso che tanti film hanno veicolato o la credenza secondo la quale i mafiosi si fanno i loro affari e non ci riguardano. E`dovere di tutti e di ognuno denunciare i fenomeni mafiosi per permettere il naturale sviluppo della società civile.

Concludo citando ancora Borsellino che già molti anni fa aveva inquadrato la via da percorrere per battere le mafie.

 «La lotta alla mafia diceva nel discorso ai cittadini siciliani  (primo problema da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità. »
Marco Cristofori, Anpi Spagna
foto Lucio Colavero